venerdì 3 maggio 2013

3 maggio. La casa di Arcidano


La casa di S'Archittu, in quanto "casa" era meno importante. A S'Archittu si viveva fuori, per questo la casa poteva contenere un numero imprecisato di persone. Non che non ci fossero dei luoghi magici, fosse lo stanzino, il piano di sopra della casa di zio Antonico o l'altro stanzino, quello del piano di su, spazio di indipendenza a turno conquistato.
La casa era quella di Arcidano. Parlare di casa d'altra parte è riduttivo. La casa di Arcidano era un luogo complesso, aveva una vera e propria geografia e una precisa toponomastica. Nessuno aveva la chiave per entrare, c'erano solo due modi per farlo, suonare il campanello (abbondantemente), oppure bussare dalla porta secondaria, quella che dava sul garage e sul vicoletto.
Ognuna delle numerose stanze (quante? qualcuno le ha mai contate?) aveva un nome, uno scopo, un uso abituale. Per anni il salotto era un luogo semi-proibito, finché un giorno divenne parte integrante della casa, ne fu il cuore e anche il secondo caminetto, quello che un tempo una civetta aveva bloccato con il suo nido, riprese a funzionare. C'era il tinello, diviso dal salotto da una cancellata a pensarci bene molto raffinata, sotto quell'arco di pietre in vista che l'architetto (o era un geometra?) aveva utilizzato per firmare quella che era effettivamente un'opera d'arte, o forse d'ingegno (da dove veniva la magia della casa di Arcidano, il suo essere una sorgente di creatività? Dipendeva dagli abitanti o era un fatto intrinseco? C'era una sacca di elettromagnetismo che la collegava direttamente all'isola di Lost e noi non lo sapevamo?).
Poi la cucina e il cucinino, che poteva vantare un passato da dispensa. Poi lo studio, l'ingresso, il sottoscala, l'andito, la scala (anche questo un luogo a tutto tondo, non semplicemente uno strumento di passaggio, ottima per giochi molto diversi tra loro: morra cinese, scivolare dalla ringhiera, saltare di tanti gradini almeno quanti erano i propri anni, farne le camere di un albergo gestito da Annamaria (allora si chiamava ancora così) e Marina Fanari.
E poi gli spazi esterni: la veranda, il giardino, e la fantomatica altraparte, luogo veramente metafisico. Nell'altra parte c'era l'ambulatorio, il forno a legna (l'epoca del pane fatto in casa meriterebbe una trattazione a parte), il pollaio, la cuccia del cane (altro capitolo o volume della storia, da Medoro a Pallina, Bug, Macchia, senza dimenticare El Napoleone. Ma quante volte Pallina ha fatto dei cagnolini? E la sua morte gloriosa in un garage improvvisato camera intensiva non meriterebbe addirittura un poema?), e ancora quella strana piattaforma sopra il deposito del gasolio, e la stanzina del riscaldamento, e forse ho dimenticato qualcosa. Senz'altro gli alberi, di cui almeno tre meritano un ricordo grato: il limone, il melograno e il nespolo. A me piaceva molto anche quell'angolo di giardino dove cresceva la menta, e le fragole, che non erano certo enormi come quelle di Arborea, ma certamente buonissime. E ho dimenticato la fontanella con lo zampillo, anche i pesci rossi l'hanno abitata per un qualche periodo.
E questo era solo il primo piano. E non si parla delle cose che accadevano, dei feriti gravi medicati nello studio, del te portato in ambulatorio, dei giochi in veranda (si organizzavano anche incontri di pugilato). Questo è solo un promemoria, per iniziare. Ognuno di questi luoghi era fonte di ispirazione, scintilla di qualcosa che qualcuno creava e poi tutti gli altri seguivano (i campionati di bogaggio vicino al forno, nell'altraparte, i profumi fatti con i petali di fiori che dopo breve si trasformavano in odori purulenti). E non si deve dimenticare il garage, e il vicoletto.
E poi si saliva su. L'andito, la stanza delle "ragazze" prima (Lidia e Susanna per fare solo due nomi), poi di nonna, poi declassata a stireria. Poi la stanza del pianoforte - stanza degli ospiti prima di diventare la stanza di Paolo e assumere quella forte identità che ha mantenuto fino ad oggi. E quel grande spazio dove signora Elvira passava ore, ore, ore a stirare, stirare, stirare per anni, anni, anni. E la stanza a sinistra, dove abbiamo dormito in 4 (con nonnacollu), in 3 e poi in 2 (con un letto a castello) e poi 1. E la stanza di mamma e papà, così grande che poteva essere una casa nella casa, con il tocco di classe del parquet e delle due poltroncine ai piedi dei due lati del letto matrimoniale (e il telefono dal design futurista non avrebbe diritto a molto più che una menzione, considerato che ci permetteva di telefonare in assoluta privacy). E infine la stanza di Annamaria e Mariafranca. Ma anche io ci ho dormito per un periodo da piccolo e ci dormo ora. Una stanza che confinava con un albero di limoni sempre carico. L'andito buio (si staccava anche la lucetta verde) era il luogo dove ognuno doveva dimostrare il suo coraggio. Michele compariva con i denti di dracula, e lo spavento generava un'adrenalina pazzesca. E poi la parte nuova, un bagno di nuova generazione, tipo quelli che si usavano a Terralba, la stanza di Michele, e lo studietto, luogo della nostra indipendenza. Potevamo avere il permesso di andare a cenare su e di vedere qualche programma alternativo tipo supergulp alla vecchia televisione, con due bottoni, uno dei quali si poteva schiacciare solo inserendoci degli stecchini. Nello studietto si giocava a ping-pong e venne portato il pianoforte. In tempi successivi accolse lo stereo. I due gradini che si dovevano scendere per entrarci ne facevano uno spazio diverso, un'altra dimensione di quell'altra dimensione che era di per sé la casa di Arcidano. Si parla di metametafisica, ma la casa di Arcidano possedeva ulteriori livelli "meta", forse infiniti.
E non finiva qui. C'era un altro mondo ulteriore, a cui si accedeva attraverso un percorso che era strutturalmente iniziatico: la scala a chiocciola. La soffitta era grande quanto tutto un piano della casa, dunque enorme, in più senza muri divisori e col tetto più basso. Il pavimento di cemento la rendeva rustica, ma gli infiniti oggetti del passato ne facevano un luogo che magico è dire poco. Lì si facevano veri viaggi nel tempo, scoperte scientifiche, ci si poteva perdere in altre dimensioni.
Io un'altra casa così non l'ho mai vista.

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